martedì 22 febbraio 2011

L’analisi – L’Italia, tra l’incudine e il martello

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Le rivolte del nord Africa stanno minando seriamente gli interessi italiani. Ma il nostro Paese è immobile, abbandonato dagli Usa e dall'Europa
La Libia fa tremare l’Italia. La nostra scarsa credibilità internazionale, già minata dal Bunga Bunga, ha indebolito ulteriormente la nostra diplomazia. Il governo Berlusconi si è chiuso in un profondo silenzio. Fino a ieri, l’unico commento, piuttosto fuori luogo, è stato quello del premier: “Non ho sentito Gheddafi. La situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno”. Di fronte ad un vero e proprio genocidio è meglio non disturbare. Una frase che in Europa ha creato non pochi mal di pancia nei confronti del nostro Paese, unico ieri a chiedere a Bruxelles di non condannare le violenze libiche. Perché? Il problema principale riguarda gli interessi economici che l’Italia ha in Libia. E di fronte al sangue, per il denaro e per gli interessi nazionali si può chiudere un occhio, o forse tutti e due.
L’Italia in Libia e la Libia in Italia. L’anno scorso la Libia è stato per l’Italia il primo fornitore di petrolio, il quarto di gas. La dipendenza energetica italiana dal paese nordafricano è destinata a crescere, di fronte alla necessità di diversificare gli approvvigionamenti energetici e divenire meno dipendenti dalla Russia. Tuttavia non c’è solo un fattore energetico a legare in maniera così netta l’Italia alla Libia. Investitori libici sono attivi in diversi settori strategici della nostra economia, soprattutto nel settore bancario, essendo i primi azionisti di Unicredit. Inoltre, il nostro Paese è formalmente impegnato a versare alla Libia 5 miliardi di dollari in 20 anni a titolo di risarcimento. In realtà, quei soldi serviranno a finanziare strade e ponti che saranno realizzate proprio da imprese italiane.
L’Italia isolata. Le profonde crepe che stanno interessando il regime di Gheddafi rappresentano enormi punti interrogativi per il governo italiano. E diciamolo chiaramente: l’Italia ha veramente bisogno di Gheddafi. Ma Berlusconi, abbandonato dall’Europa e dagli Stati Uniti, ieri sera è stato costretto ha scaricare il Colonnello. Ma subito è arrivata la silenziosa risposta libica con una drastica riduzione del flusso di gas verso l’Italia. Un segnale chiaro: “O mi sostenete, o rischiate di non avere più il mio gas e il mio petrolio”.
I nostri interessi a rischio. Le crisi nord-africane, al di là della questione libica, hanno già messo a repentaglio gli interessi italiani in quei paesi. Interessi enormi che riguardano principalmente questioni energetiche. Il nostro Paese, in quell’area, ha giocato fino ad ora una leadership fondamentale, attraverso l’Eni. La società italiana è il principale operatore petrolifero straniero in Egitto. La produzione di petrolio e di gas naturale in quota Eni nel paese delle piramidi ha raggiunto, nel 2009, circa 230mila barili al giorno. Anche la Tunisia rappresenta un tassello strategicamente fondamentale per l’Italia. Attraverso il piccolo paese nord-africano passa un gasdotto realizzato da Eni e che consente lo spostamento di gas naturale proveniente dal deserto algerino fino alla Val Padana. E per realizzare tutto questo l’Italia, negli anni ottanta, ha organizzato, attraverso i servizi segreti militari (l’allora Sismi), un golpe per evitare che la Tunisia potesse finire in mano a regimi islamici anti-occidentali.
E se dietro ci fossero gli americani? Per l’Italia, debole sul piano internazionale e piuttosto isolata in Europa, non resta che sperare. Ma francamente appare difficile che riuscirà a mantenere le posizioni di privilegio conquistate in decenni di accorte politiche energetiche. Il governo italiano ha cercato strade alternative a quella europea e ora, di fronte ad una debolezza strutturale sotto il profilo militare e recentemente anche sotto il profilo politico-diplomatico, rischia di rimanere schiacciato. Gli americani non hanno mai visto di buon occhio le intese tra Eni e Gazprom, e considerano “ostile” la società fondata da Enrico Mattei (la storia si ripete?). Infatti, sospetto è l’appoggio di Obama alla rivolta egiziana, in un’area dove cambiare gli equilibri può mettere a repentaglio la sicurezza di uno dei suoi principali alleati: Israele. E sempre sospetto è l’atteggiamento dell’amministrazione americana in Libia, dove, guarda caso, Eni ha concesso a Gazprom in questi giorni di operare nel settore energetico, attraverso una partnership con l’algerina Sonatrach. È difficile poter dire se dietro a queste rivolte ci sia la mano americana, però gli Usa non hanno esitato e defenestrare l’alleato di sempre (Mubarak) e a condannare il nuovo alleato nella lotta al terrorismo (Gheddafi) a costo di generare grande instabilità regionale. E da questa, alla lunga, potranno guadagnarci tutti, tranne l’Italia.
Diritto di critica       fonte : http://www.dirittodicritica.com/

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